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Critica    
 
PAOLO LEVI

Brigitta Rossetti è pittrice che unisce ai suggerimenti dell'inconscio, quelli di una cultura ben sedimentata.

La sua espressività viene da lontano – volutamente o involontariamente non ci interessa- in quanto, a nostro avviso, si accosta alla poetica visionaria della cultura Zen, dove la presenza tende all'assenza, è il riconoscibile allusorio.

Pittrice di attimi figurali che si dipanano sereni e senza lacerazione, di trasparenze luminose, di silenzi, di paesaggi marini notturni, o anche di un'ipotetica Ade, dove sagome incerte cercano di ritrovarsi in un corpo, inducendo emozioni e struggimenti e un senso arcano di inafferrabilità.

Brigitta Rossetti riaccende la fiducia nella figurazione in pittura, rispondendo indirettamente al quesito incerto – che ci poniamo sin dagli anni del primo informale -se nella figurazione ormai, non sia stato già detto tutto. Forse.

Eppure Brigitta Rossetti apre uno spiraglio inaspettato, dirigendo lo sguardo verso lidi arcani, dove il colore suscita la suggestione di un canto sommesso. Da queste belle stesure, non è tuttavia dato di capire quale tempo psicologico richieda la sua esecuzione, ovvero se si tratta di un'operazione squisitamente mentale e quindi di lenta scrittura, oppure all'opposto, di una manualità rapida e istintuale. In ogni caso, dall'intingolo pittorico emana la magica essenza di un'interiorità assai fervida, definibile come un atto spirituale di raccoglimento e di contemplazione.

Esaminando ogni singolo attimo della composizione, si deve riconoscere il garbo di ogni passaggio, della calibratura segnica, degli equilibri visivi, e di tutti gli indizi che concorrono all'accertamento di una tensione verso l'infinito, evocato allusivamente in prospettive profonde, o nel minimalismo di trasparenti tacche ombrose sospese in un vuoto atonale.


Paolo Levi Critico d'Arte

 
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